Microplastiche: Cosa sono, perché le mangiamo e cosa possiamo fare per ridurne la diffusione?

“Ogni settimana, mangiamo una quantità di plastica equivalente al peso di una carta di credito”! Ce lo ricorda la CNN, in un recente articolo in cui riprende il recente studio condotto dall’Università australiana di Newcastle e commissionato dal World Wildlife Fund (“WWF”), che combina i dati di oltre 50 precedenti ricerche. Un risultato del genere dovrebbe essere sufficiente a farci riflettere sul nostro attuale consumo di plastica, no?

Secondo i ricercatori, la maggiore fonte di assunzione di plastica è l'acqua potabile, che comprende sia l'acqua in bottiglia che quella del rubinetto. I molluschi sono la seconda maggiore fonte. Ciò è possibile perché vi sono minuscole particelle di plastica, chiamate microplastiche, che si fanno strada nei nostri fiumi e mari, vengono ingerite da pesci e altri animali marini, finendo così anche nella catena alimentare.

Mangiamo le microplastiche

Cosa sono le microplastiche?

Ormai tutti sappiamo che la plastica è un problema. Tuttavia, c’è un ulteriore conseguenza del problema della plastica che è venuta a galla solo recentemente e che è meno visibile: le microplastiche. Piccoli pezzi di plastica, lunghi meno di 5mm…Ma solo perché sono piccoli non significa che possiamo ignorarli, no? Hanno infatti conseguenze disastrose per la vita marina e potrebbero rimanere nel mare per sempre. Quindi potremmo continuare a mangiarne ancora per un bel po’!

Da dove vengono?

Le microplastiche provengono da una varietà di fonti diverse. Ciò include detriti di oggetti di plastica di grandi dimensioni che nel tempo si sono ridotti in frammenti più piccoli, ma anche le palline di resina che vengono utilizzate per la produzione di plastica. Le onde, la luce solare e/o altri stress fisici contribuiscono a rompere la plastica in pezzi sempre più piccoli. Sentiamo spesso parlare di quanto tempo impiega la plastica a degradarsi nell’ambiente, ma non di come in realtà continui a rompersi in pezzi sempre più piccoli.

Mangiamo le microplastiche

Un'altra forma di microplastica è costituita dalle cosiddette microsfere (composte di polietilene), che fino a poco tempo fa venivano comunemente aggiunte ai prodotti di igiene e cosmesi - come detergenti e dentifrici – per la loro funzione esfoliante. Tuttavia, la Commissione Europea sta valutando il problema e la possibilità di limitare l’aggiunta di microplastiche a questi prodotti. Anche se questo tipo di microplastica rappresenta solo circa il 2% del totale rilasciato nell’ambiente.

Una fonte di microplastiche meno conosciuta è quella che deriva dall’utilizzo di oggetti che con il consumo e l’usura rilasciano microplastiche, come ad esempio i pneumatici e i vestiti sintetici. Sfortunatamente, in questo caso la soluzione è decisamente più complessa, in quanto risultano essere prodotti di difficile sostituzione.

Guppyfriend sacco per lavatrice

I vestiti possono rilasciare una notevole quantità di fibre sintetiche quando vengono lavati in lavatrice. Il pile è il tessuto che ne rilascia di più, ma anche l’abbigliamento sportivo e altri capi sintetici non sono da meno. Rilasciano migliaia di fibre ogni volta che vengono lavate. Una giacca in pile può rilasciare fino a 2 grammi di microfibre per lavaggio, circa 250.000 fibre. Il 40% di queste riesce a passare attraverso i filtri e gli impianti di depurazione e a raggiungere l’ambiente.

Impatto

Il problema delle microplastiche è che sono così piccole che di solito non vengono bloccate dai sistemi di filtrazione dell'acqua, riversandosi così nei fiumi e nei mari. Pesci e altri animali acquatici li mangiano e muoiono o riscontrano altri problemi di salute. Ciò non riguarda solo i pesci, ma anche i vermi, lo zooplancton e i crostacei. Questi vengono poi a loro volta mangiati dai pesci, che accumulano quindi altra plastica nei loro stomaci, fino al punto di non riuscire più ad ingerire abbastanza cibo e morire di fame. E non dimentichiamo che noi esseri umani mangiamo pesce e sale marino, e che quindi, alla fine, la plastica finisce anche dentro di noi!

Le microplastiche non si dissolvono mai, ma rimangono nel mare per sempre. La plastica non si biodegrada perché è nuova per l'ambiente, i batteri non si sono ancora evoluti per abbattere i legami carbonio-carbonio che si trovano nella plastica. Questa può quindi costantemente ridursi in pezzi più piccoli, ma rimarrà sempre lì.

Mangiamo le microplastiche

Cresce la preoccupazione riguardo agli effetti delle microplastiche sulla salute umana. È stato infatti provato che le microplastiche assorbono tossine e batteri. Dunque, insieme alle microplastiche, i pesci ingeriscono anche queste sostanze nocive. Mangiando pesce, rischiamo quindi anche noi di ingerirle!

Soluzioni

Quindi cosa possiamo fare? Molto! La consapevolezza è già un ottimo punto di partenza. Semplicemente prendere decisioni informate in merito ai nostri acquisti e ai consumi inizierà già a rompere questo ciclo.

Per prima cosa, scegliere prodotti cosmetici con ingredienti naturali o realizzarli personalmente non solo evita le microplastiche, ma impedisce anche l'esposizione a ingredienti tossici nocivi.

Poi, è consigliabile passare a spugne e spazzole fatte con materiali naturali per evitare di rilasciare microplastiche nell'acqua mentre le si usa (le tradizionali spugne per piatti sono infatti composte da materiali sintetici!).

Inoltre, l'utilizzo del sacco Guppyfriend consente di lavare i vestiti con materiali sintetici in lavatrice, catturando le microfibre ed evitando il loro rilascio nel sistema idrico.

 

Meno plastica consumiamo in generale, minore è la possibilità che i prodotti da noi usati si riducano in microplastiche. Cambiare le nostre abitudini verso uno stile di vita con meno o senza plastica è la spinta di cui abbiamo bisogno per fermare questo tipo di inquinamento. Per ora stiamo ingerendo settimanalmente una dose di plastica pari ad una carta di credito - speriamo che non diventi pari a quella di tutto il portafoglio!

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